Max Parodi è stato uno dei più grandi artisti Sestresi contemporanei. Max Parodi è mancato prematuramente il 3 novembre 2008 all’età di soli 38 anni. La sua carriera artistica è stata breve ma ricca di produzioni importanti e di collaborazione eccellenti. Max Parodi è figlio della tradizione musicale Sestrese, cosi ben rappresentata da suo padre, Piero Parodi. Max è stata anche, ultimo ma non ultimo, una persona dall’umanità rara e eccezionale.
E’ per questi motivi che il Municipio VI Medio Ponente, in stretta collaborazione con la famiglia e gli amici, da vita al PREMIO MAX PARODI, iniziando un percorso che renda merito alla memoria dell’artista e dell’uomo. Il premio ha l'obiettivo di scoprire e valorizzare nuovi autori musicali che dimostrino quell’attitudine verso la musica e la composizione, rock, grezza, sincera e talentuosa, che ha determinato la cifra artistica dell’artista Max Parodi.
L’iscrizione al concorso è gratuita ed è aperta a tutti gli autori maggiorenni, solisti o accompagnati da band, residenti su territorio nazionale, che scrivono in italiano o dialetto. È aperta dal 16 settembre al 7 ottobre. Sul sito www.premiomaxparodi.it sono disponibili tutte le informazioni per iscriversi al concorso. E’ disponibile anche la pagina facebook dedicata all’evento www.facebook.com/premiomaxparodi .
Il 31 ottobre 2013 il Teatro Verdi ospiterà il momento finale del concorso che vedrà premiato un artista e autore musicale con una targa e la possibilità di produrre e registrare le proprie canzoni presso il prestigioso studio di registrazione Drum Code di Sesta Godano, La Spezia.
Per informazioni:
Fabrizio Gelli Assessore
alla Cultura Municipio VI Medio Ponente
fgelli@comune.genova.it
cell 3346418172
Giorgio Ravera musicista
de La Rosa Tatuata
info@giorgioravera.com
+39 347 4629674
Paolo Terzitta musicista,
autore e amico di Max
p.terzitta@virgilio.it
+39 342 0538216
Max Parodi
Certo, non si può dire che sia stato un tipo facile. Uno di cui sia semplice scrivere un profilo di poche righe senza dilemmi e ripensamenti. E’ che a volte era la rabbia personificata, altre volte la dolcezza. Sapeva farti incazzare, ma non gli bastava poi farsi perdonare: sapeva farsi volere bene. E tra le molte cose che lo mandavano in bestia , prime fra tutte: gli imbecilli e la falsità. E poi aveva un dono grande, insieme all’intelligenza, alla voce e al talento musicale: aveva la capacità, la gentilezza di fare sentire speciali tutti coloro che avevano il privilegio di frequentarlo. Di fronte a quegli occhi grandi e attenti ci si sentiva bene, importanti. Così lo rimpiange anche chi lo ha conosciuto meno o per poco tempo, perché non è facile
rinunciare a coloro che ci fanno sentire migliori di quello che siamo in realtà.
Ed è stato un musicista, uno bravo, uno che ci lascia dozzine di belle canzoni, tra le molte pubblicate e tra le altre inedite, oggetti preziosi negli scrigni della famiglia o degli amici. Il suo habitat principale fu chiaramente il rock di matrice americana, coniugato da subito con la stesura dei testi in italiano. In questa dimensione sono nate le band che ha capitanato e la maggior parte dei brani originali. E sempre portando avanti quelle sue due anime, quella dolce e acustica con l’inseparabile takamine rossa e l’armonica, e quella elettrica, rabbiosa ed anarchica.
Fu un chitarrista, una ritmica precisa e metronomica, sempre essenziale nell’economia delle bands in cui ha suonato. Ma anche un possessore appassionato delle sue chitarre, che collezionava in base a significati, riferimenti, valori storici e affettivi, per lui sempre importanti. E che amava tenere sempre esposte e lucidate, nel salotto della sua abitazione.
Ripercorrendo adesso la sua ventennale attività musicale ci si accorge anche di quanto fosse versatile.
Scelse il rock, quel tipo di rock, ma nel sangue aveva anche il folk genovese, respirato da subito in casa sua, per via di suo padre Piero e di zio Federico. E di ciò ce ne accorgemmo quando arrivo il momento per lui di suonare anche quella musica. Fu nei primi anni di attività un musicista progressive, alla voce, alla chitarra, ma anche al flauto traverso. E fu a suo agio in molti altri generi, come ad esempio in quella breve stagione in cui suonò lo ska, peraltro cantato negli idiomi dell’Italia meridionale. E infine fu, per una sera, anche violinista di strada, ubriaco e irresistibilmente demenziale.
Sul palco ci stava bene, era istrione, si sentiva un leone. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione e cercava di fare sempre un bello spettacolo. Ma dietro il palcoscenico c’è anche quel ragazzo teso, conflittuale, perfezionista e autocritico. E ci sono molte ore di lavoro e di serietà, per uno che non è mai stato veramente un professionista, ma che in altri tempi e in altri luoghi lo sarebbe diventato.
E c’è un prato, nei pressi della casa di campagna della nonna paterna. Lì potevi trovarlo, un tempo, con degli improponibili mutandoni, una ceres, la chitarra rossa, le sigarette e un blocknotes.
Quel prato, uno di questi giorni, lo voglio andare a rivedere. Perché è lì che sono nate buona parte delle canzoni di Max Parodi.
Libertà, Maps
Paolo Terzitta, Genova, 22/03/13